Napoleone: L’uomo del destino by Jean-Marie Rouart

Napoleone: L’uomo del destino by Jean-Marie Rouart

autore:Jean-Marie Rouart [Rouart, Jean-Marie]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Giunti


Sempre nelle sue Memorie, pubblicate nel 1829, ossia in un momento in cui era facile, a lui come a molti altri, attribuire l’intera responsabilità a Napoleone – era stato lui stesso a rivendicarlo! –, Savary sembra ammettere chiaramente il suo incredibile errore. «Le istruzioni erano state trasgredite. Era scontento di quanto era stato fatto, ma non voleva punire gli uomini che avevano peccato per eccesso di zelo, e che avevano creduto di servirne la volontà».

Quest’errore, o, piuttosto, quest’enorme pasticcio, è d’altra parte ancor più verosimile visto che Napoleone esclamerà, davanti a Giuseppina: «Quei disgraziati sono stati troppo celeri!». Ma egli deve farsene carico. Gli si prospettavano due vie: l’esecuzione della sentenza o la clemenza. Ormai non ha più scelta: ha un morto sulla testa. E che morto! Facendo ricadere la responsabilità sull’incompetenza degli agenti esecutori rischierebbe di destabilizzare il proprio potere, che vuole al contrario affermare. Ha deciso, deve giustificarsi. E di certo non mancano gli argomenti contro i Borboni, che non hanno mai smesso di ordire complotti e armare assassini.

Per quanto riguarda la sostanza del caso, di sicuro Napoleone è del tutto responsabile del rapimento del duca. Lo è meno, o forse affatto, della sua esecuzione. L’idea di giustiziare d’Enghien non è stata sua, gli è stata subdolamente instillata approfittando della cospirazione di Cadoudal e Pichegru. L’ennesima congiura su grande scala, giunta dopo altri tre tentativi, tra cui l’attentato della rue Saint-Nicaise, gli aveva fatto montare la bile contro i Borboni. È a quel punto che entra in scena il diavolo zoppo. Talleyrand gli ha suggerito abilmente il nome del duca d’Enghien. A lungo ci si è chiesti il perché, tanto più che il mellifluo diplomatico non è andato certo per il sottile. Non bisognava solo rapirlo, ma anche «fucilarlo».

Talleyrand vuole forse apparire un moderato rispetto al suo padrone, che ha ormai le mani lorde di sangue agli occhi dei Borboni? Borboni con cui rimane in contatto attraverso l’abate di Montesquiou e altri, più oscuri, agenti? Si tratta di un calcolo ancor più tortuoso? Luigi XVIII e suo fratello, il conte di Artois, non amano affatto il duca d’Enghien, che vedono come un rivale giovane e bello, in grado di contrastare le loro ambizioni.

Di certo con la sua intelligenza e la sua abilità il vecchio vescovo di Autun cancellerà ogni traccia delle proprie turpitudini, soprattutto quando, caduto Napoleone, vorrà ritrovare credito presso i Borboni. L’affare del duca d’Enghien gli è rimasto incollato alla pelle come la tunica di Nesso. E, per quanto abbia ripulito con cura gli archivi del proprio ministero e abbia ricomprato a peso d’oro documenti compromettenti sottratti da Gabriel Perrey, un ex segretario poco onesto che sa troppo del suo padrone, gli è sfuggita una lettera a Bonaparte. Quella dell’8 marzo 1804, pubblicata poi dal suo biografo Emmanuel de Waresquiel:

Degli intriganti mal intenzionati arrivano a lasciar intendere che vi potreste accontentare del ruolo di Monk. Questa congettura diffusa con grande perfidia causa gravi danni. Ecco che si presenta un’occasione per dissipare simili timori. Vi viene offerta dall’affare che deve condurre i suoi autori davanti al tribunale (Cadoudal, Pichegru).



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